PARLIAMO DELLA «MAMMA»: PER TANTE CANZONI CHE
VOLANO FORSE QUALCHE PENSIERINO CHE RESTA


Questa domanda sovverte un magazzino di idee, forse un
cimitero di affermazioni-cadavere, circa i rapporti tra uomo e
donna. Dovrei rispondere con un volume in quarto di 516
pagine. In difetto del volume, ecco gli epigrammi essenziali.
1) Dicendo che la più sacrificata è la donna, è la madre
(ove, non alludiate al sublime sacrificio della procreazione e
del primo allevamento che tutto, infatti, è a lei demandato)
voi vi riferite al 51% dei casi. Nel 49% dei casi vince la
donna, specie negli strati borghesi, ricchi o ricchissimi della
società. In questi strati, per esempio, non mancano donne che
«aspirano» a un chilo di smeraldi da poter dimenticare al
gabinetto: e riescono ad avere il loro chilo di smeraldi e
dimenticarlo effettivamente al gabinetto. «Aspirano» alla pelliccia
di visone pagata nell'area della sterlina, e raggiungono il «23
grani luce azzurra» pagato nell'area del dollaro: e subito
dopo anche la pelliccia. E in tutte le classi della società vi sono
madri, che avendo partorito un cretino, aspirano ad avere un
figlio ingegnere; e riescono perfettamente, del loro cretino, a
fare il loro ingegnere.
2) Nel 49% dei casi in cui vince la donna, la madre, si
tratta di una donna forte, almeno psicologicamente, cioè
scaltra determinata e caparbia quanto arrivano a essere talune
donne, portatrici di irreparabile siluro sull'onda lunga delle
apparenti concessioni. Si tratta di una donna-coi-pantaloni
(ricordate «Sexe faible», la spiritosa e dunque proibitissima
commedia?), o anzi di una donna demonio, procreatrice di
demòni, contro una barbabietola di marito-montone
psicologicamente, mentalmente e talora anche fisicamente più
debole del suo formidabile avversario, la Moglie! Un marito frusto
e perennemente assenziente, rifinito dalla pluridecennale
battaglia del matrimonio, inetto a fronteggiare, nonché a
debellare, il temuto mammifero ch'egli chiama, balbettando,
«la mia Signora».
3) Notato ciò, notiamo ancora che la qualità-funzione
dell'uomo è la ricerca, la indagine e la conseguente costruzione
del «nuovo», il perfezionamento o l'aggiustamento continuo
del «già acquisito» o «vecchio».
È demandata all'uomo la funzione inventiva, creativa:
quella per cui egli plasma la fortuna propria e la forma, e in
certa misura predetermina l'evento: è caratteristico
dell'uomo il compito dell'auto-educazione, sia pure in presenza di
una controparte e di un controllo femminile. Tale compito è
da lui svolto entro ambiti determinati (la nazione, la città,
l'associazione di mestiere) e dunque anche nell'interno di
quell'organismo, celebrato dagli esperti, che è la famiglia.
È logico pertanto che le aspirazioni del marito, del padre
(più o meno felicemente plastiche e inventive), abbiano a
prevalere sulle aspirazioni della moglie, della madre: la cui
prestazione biologica ed etica nel gruppo famigliare concerne
piuttosto la fisicità della vita, le pratiche di ordinaria
amministrazione: pratiche sublimi e necessarie, non demandabili al
maschio: gestazione, parto, allattamento, vestir la prole,
preparare la minestra.
La donna ripete spesso, in leggero ritardo di fase, le
locuzioni (gli «slogans») inventate dalla piazza, dal foro, dal
pulpito, dal giornale, dalla cattedra, dalla pubblica
amministrazione: cioè dai maschi.
Il trombone maschio inventa e proferisce la sua verità, o la
sua bugia: sua moglie o sua figlia, che lo adora, e vuole «essere
degna di lui», ripete e diffonde l'epifonèma del marito, del
padre, del professore, del medico, del corteggiatore, in un
soave e delicato pappagalleggiamento. Non avete mai ascoltato
una signora «colta» riscodellare alle amiche il frasario del
dottor Pillola, suo medico di fiducia? È vero che anche gli uomini
si comportano, il più delle volte, come se fossero dei
pappagalli: ciò è dovuto al fatto che essi difettano di spirito inventivo,
e si abbandonano ai piaceri e ai profitti dell'ordinaria
amministrazione. Meglio, d'altronde, anche per la società, un
pappagallo ammodo che un inventore del moto perpetuo.
4) Le femministe, oggi, sostengono la parità e la parificazione dei sessi, in fatto e in diritto. In diritto, convengo: l'egoismo dei maschi, viceversa, rovescia corbe di belle frasi sulla tavola dei tira-in-lungo, promette molto (a parole) salvo a non mantenere nulla di nulla. (In amore, p.e., la donna sopporta tutte le conseguenze e tutte le passività dell'amore). In fatto, non credo che la parità esista. Esiste una «diversità» che non comporta parificazione funzionale. Scusatemi, perdonate: ma non credo in una donna-giudice, in una donna direttrice della Montecatini. Il temperamento vagotonico della donna, la sua «serietà», la mania di recitare a tutti i costi una parte drammatica, la spingono ad atti inconsulti. È vero che la condotta di molti uomini risulta più inconsistente di quella di una donna isterica: ma non è questa una buona ragione per istituire a sangue freddo un corpo di carabinieri di sesso femminile.
5) L'altra cagione di prevalenza (in seno alla famiglia e nel 49% dei casi) delle aspirazioni maschili è ovvia: è determinata da un rapporto di forze: il maschio, libero dagli impacci della procreazione, è inoltre più grosso, più robusto della moglie, se pur si dia talvolta l'incontro che qualche maritiello mingherlino sia lui a buscarne. Ciò si verifica quasi costantemente nelle forme superiori degli animali (mammiferi, uccelli): lo stallone ha una massa sarcica superiore alla giumenta: il fagiano crisotide ha molte piume aurate intorno all'orecchio, di cui la femmina è priva.
Quando ero bimbo mi proponevo il problema «che cosa è una donna?» Rispondevo a me stesso: «Una creatura che stenta a salire in tram perché le sottane la impicciano». L'egoismo dell'uomo è duro, immediato e scoperto e sopratutto gratuito quanto l'egoismo della donna è necessario e tenace.
Può essere sostenuto da sberle vittoriose contro il vano battipanni o le unghie coralline della moglie. Il maschio è più vanitoso della consorte femmina: è, anzi, il solo vanitoso della coppia, non potendosi ascrivere a vanità le indispensabili civetterie di colei che deve captarne la truculenta grullaggine.
La vanità maschile è un sentimento enfiato da pompiere in pompa magna. In ogni maschio si nasconde un pavone, o un aspirante-pavone: e talora non si nasconde affatto. La femmina adora il suo pavone e gli permette di «aspirare» e di «superarla nell'aspirazione», perché vede in lui (inconsciamente) il modello: il «progetto» biopsichico su cui dovrà plasmare, col tenace lavorio della propria pancia, la creaturina futura, il marmocchio tanto atteso! e magari il futuro ingegnere, o il futuro «ritratto di suo padre». Per ciò nel 51% dei casi le «aspirazioni» del maschio, del marito, la vincono. La madre «si sacrifica». La donna ha il senso del futuro fisico della specie, vuole procreare, vuole adattare: economizza per sé, per il frutto del suo ventre, per la casa, per il nato. La donna ha la psicologia della botte, della cassaforte, del granaio. Vuole acquisire per sé, per i figli. In ogni massaia si nasconde un'acquisitrice, una economa, talora un'insopportabile megera.
Poter guadagnare un cucchiaino di zucchero, risparmiare una goccia d'olio sulla pelle dell'insalata, le dà le vertigini. Conosco una signora che, contrariamente alle «aspirazioni» del marito, e padre, arrotonda la dote della figliola. In che modo?: allungando con l'acqua del rubinetto il glicerofosfato della vecchia suocera demente e con lei convivente. Così dirada la periodicità dell'acquisto dello sciroppo. È un altro caso, questo, in cui non si capisce bene quale delle due contrastanti «aspirazioni» trionfi: se quella del bisonte o quella della baronessa."

in "Scritti dispersi" (La Spiga, vol.3, pp. 1005-1008)